Chi ha paura della Sindrome di Asperger?

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immagine di TheArtOf TCHANG

1938. Un brillante medico di nome Hans Asperger parla di fronte ad un mare di svastiche: i medici del Reich presenti al primo convegno mondiale sull’autismo. Come ci possiamo bene immaginare la “psicopatia autistica” - come viene chiamata inizialmente - è per il regime, un “problema da risolvere” nell’ottica di quel piano di eugenetica che tutti conosciamo. Il dottor Asperger però, a quei suoi pazienti della Kinderklinik che chiama amabilmente, i suoi “piccoli professori”, ci è profondamente affezionato e nel bel mezzo del suoi discorso - assolte le obbligatorie formalità di rito richieste dal regime - disse qualcosa di rivoluzionario: “Non tutto ciò che non è allineato ed è dunque ‘anormale’ deve necessariamente essere inferiore”.

Ma facciamo un passo indietro.

Il nostro medico austriaco si accorge di un peculiare pattern di comportamenti, pensieri e atteggiamenti che accumuna i suoi piccoli pazienti lungo un continuum, uno spettro. Sono bambini socialmente schivi e impacciati, più interessati agli oggetti, alla natura e ai suoi funzionamenti piuttosto che alle persone, intelligenti, inflessibili e rigidi nel bisogno di routine e coerenza, con uno sviluppato senso della giustizia e della morale, spesso fisicamente goffi e con alterazioni della sensibilità sensoriale verso luce, suono, tatto, gusto e olfatto. Ma non solo bambini, Asperger scopre lo stesso fenotipo anche in adulti, spesso nei genitori dei suoi stessi pazienti, uomini e donne “particolari”: entrambi laureati (ricordiamoci che siamo negli anni ’40), con posizioni di rilievo, descritti a volte come freddi, poco calorosi, e molto formali. Nel 1944 però le bombe riducono letteralmente la Kinderklinik in macerie così come metaforicamente anche le scoperte di Asperger...

Negli stessi anni, dall’altra parte dell’oceano, Leo Kanner fa le medesime scoperte di Asperger, ed inizia a descrivere “l’autismo infantile precoce”, con delle sostanziali differenze: costringe i suoi pazienti in una diagnosi molto ristretta, parla di compromissioni importanti e riduce l’eziogenesi del disturbo alle cure materne, coniando la famosa e brutale espressione di “madre frigorifero”, interpretando i particolari interessi dei bambini come richieste estreme di attenzione.

Nel libro NeuroTribù, Steve Silberman, sottolinea come la fortuita coincidenza della contemporanea scoperta dei due studiosi, non sia poi così fortuita, visto che il diagnosista principale della Kinderklinik di Asperger, fuggito dal regime verso gli Stati Uniti, per una serie di vicissitudini, approda proprio alla clinica di Kanner... Ecco, c’è una questione. Nel mondo scientifico domina la lingua inglese e succede una cosa che ha dell’incredibile: il panorama mondiale affronta e parla di autismo esclusivamente con i termini kanneriani visto che, solo nel 1981, Lorna Wing traduce le ricerche di Asperger dal tedesco all’inglese, rendendole finalmente accessibili alla comunità scientifica.

Cosa è successo quindi negli ultimi quarant’anni al concetto di autismo (ma se vogliamo la questione perdura tutt’oggi)?

Alla parola AUTISMO le persone ancora associano i concetti di grave compromissione cognitiva e del linguaggio, immaginandosi al massimo, dei Rain man, che si dondolano su loro stessi mentre fanno calcoli mentali impossibili, isolati e totalmente privi di empatia.

Da una decina di anni però, il vento del cambiamento torna a soffiare verso le scoperte del medico austriaco, e finalmente, si inizia a riconoscere la visione di spettro autistico in un continuum che va da un funzionamento alto, senza alcuna difficoltà linguistica o cognitiva, ad uno più compromesso o gravemente compromesso, arrivando all’importantissimo concetto di neurodiversità. La neurodiversità è una specializzazione neurologica che ha permesso l’evoluzione dell’essere umano, visto che è caratterizzata da una concentrazione intensa e continua su temi di varia natura o sulla risoluzione efficiente di problemi normalmente difficili da risolvere o generalmente neppure percepiti da chi ha un funzionamento neurotipico.

Le specializzazioni dei neurodiversi possono variare moltissimo e a testimonianza di questo sono proprio le professioni di molti Asperger che hanno fatto “coming out”: dalla scrittrice Susanna Tamaro, all’attore Anthony Hopkins, all’imprenditore Elon Musk, al calciatore Lionel Messi, fino al comico americano Dan Aykroyd o ancora all’attivista ecologista Greta Thunberg.... Ah, e parlando di quest’ultima in particolare, durante il suo discorso all’Europarlamento nel 2019, si commuove mentre parla delle specie in via d’estinzione... cosa dicevano della mancanza di empatia degli Asperger? Ecco, Toni Atwood, importantissimo studioso di neurodiversità e sindrome di Asperger, sostiene esattamente il contrario, e cioè che le persone autistiche siano in realtà ultrasensibili alle emozioni negative degli altri e che usino un diverso sistema sensoriale rispetto ai neutrotipici. Probabilmente l’isolamento sociale in cui si rifugiano serve proprio per proteggersi dal contagio emotivo, che per un neurodiverso può essere intenso. E questo è anche corroborato da alcune ricerche che, misurando il battito cardiaco e la sudorazione di fronte ad immagini drammatiche, notano come gli autistici mostrino reazioni più forti dei neurotipici.

La verità è che oggi, tantissimi bambini, adolescenti e adulti neurodiversi, non solo non vengono riconosciuti ma vengono addirittura invalidati da molti professionisti che dell’autismo hanno un’idea totalmente ristretta e stereotipata, non riconoscendone la complessità e riducendola ad una diagnosi e ad una malattia da curare e normalizzare, anziché vederla per quello che è: una risorsa, un modo di essere e di stare al mondo, una via divergente di percepire. Il problema di tutto questo analfabetismo psicologico è che molti arrivano dai professionisti solo in preda a forti sintomatologie depressive o ansiose, per cui capite bene quanto sia fondamentale conoscersi, accettarsi e far conoscere anche agli altri il proprio modo di essere, e questo vale in particolare per le donne Aspie, visto che sono proprio queste le più esposte al fenomeno del “masking sociale” che tanto dà in apparenza e quieta convivenza con i neurotipici, quanto toglie di accettazione e compassione verso se stessi.

Infine, come dice Temple Grandin - industrial designer e autistica - “il mondo ha bisogno di tutti i tipi di mente”, aggiungendo provocatoriamente che: “ se fosse stato per i neurotipici, saremmo ancora a chiacchierare nelle caverne” :D